violaine hulné works

 

 

critics

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luciana schiroli

2003 il felice viaggio

La “ricerca di un Giardino che sublima la luce” : questa è la pittura per Violaine hulné che, parafrasando un celebre saggio di Anna Maria Ortese, rincorre in “una terra che si fa sempre più arida e un cielo che si fa sempre più buio”, quel respiro universale che fa vibrare aria  e anima assieme, perché là dove la compenetrazione tra fuori e dentro è totale, là c’è la poesia, là l’invisibile si fa macchia e colore. E di fronte allo spettacolo di questo “rollio misterioso della vita”, anche gli occhi di Violaine si spalancano, abbagliati dall’ignoto, per fissare le mobilità aeree che scoprono dal fondo lattiginoso forme imprevedibili, che prendono via via vigore e luce. Una luce mai fissa, ma fluida e morbida, che diventa vapore e oggetto, massa corporea anch’essa mobilissima, quasi sospinta da un sottile alito di vento. E questo perdersi nel rapinoso gioco atmosferico s’accompagna all’anelito incessante dell’anima che cattura bagliori e trasparenze, che si liberano con poetica leggerezza nell’ampio foglio di carta imbevuto d’acqua. Con sapienza e pazienza, le sovrapposizioni dei pigmenti colorati creano più forme che sembrano perdersi in un assoluto temporale e spaziale assieme, fatto di eterno e di infinito. Strutture di luce si possono definire le carte di Violaine, che ha, dentro gli occhi, i cieli e i mari di Turner, il grande pittore inglese che seppe cogliere l’intensa luminosità dell’atmosfera italiana in spazi-luce originalissimi, fuori da ogni tradizionale impianto prospettico : con Turner le forme persero consistenza e contorni e i colori puri divennero, con la luce, i protagonisti del quadro. E la pittura per Violaine Hulné nasce dalla “voglia di volare verso la porta del cielo”, là dove il divenire delle cose trova la sua ragione d’essere, là dove il rumore si placa per lasciare parlare il silenzio. Se per Emily Dickinson “per fare un prato ci vuole del trifoglio/ e un’ape, un trifoglio e un’ape/ e sogni ad occhi aperti./E se saran poche le api/ basteranno i sogni”, per Violaine dipingere è “fissare lo spettacolo di un momento privilegiato di un sogno da svegli”. Un prodigio è l’opera che rivela una bellezza prima imprendibile, poi intuita e infine colta in un caleidoscopio di luci e di colori dei corpi che si riflettono su altri corpi e degli oggetti che si proiettano su altri oggetti. Si assiste così a un rimando sorprendente di zone di luce e di zone d’ombra che vivono in maniera quasi autonoma sulla superficie cartacea : è un intersecarsi di forme sempre nuove che la mobilità della luce ricrea continuamente, una metamorfosi continua e infinita di forme e spazi. “Ecco perché prediligo gli interni delle case, ricchi di tanti oggetti e di tante forme che rimandano la luce e i colori, mettendo in moto così la mia immaginazione e la mia ricerca di un sentimento impalpabile” dice l’artista che vede sprazzi di cielo nei vicoli più bui della città o nelle larghe pozzanghere che restano sul selciato dopo una fitta pioggia. Ora è la luce dorata ed evanescente di Praga, ora e l’intensità del verde delle foreste boeme a dilatare gli spazi, ora sono le calde terre toscane che sinuosamente si lasciano accarezzare dalla luce mediterranea : ne esce una sorta di prospettiva quasi geometrica, dove le masse cromatiche si mostrano nette nella sintesi formale, benché cosparse dai vapori fecondi della terra. Una ricerca di consonanza tra reale e immaginario diventa l’operare, che Violaine chiama “felice viaggio”. E come Susan Sontag scriveva “ho fatto un viaggio per vedere cose meravigliose. Un mutamento nel paesaggio. Un mutamento nel cuore”, così l’anima di Violaine si stupisce e s’arricchisce ogni volta e la mano veloce ritrae questo stato dell’anima. Se per Anna Maria Ortese l’esperienza giovanile dei pastelli aveva come scopo “il cogliere e il fissare, sia pure il tempo di un istante, il meraviglioso fenomeno del vivere e del sentire”, per Violaine Hulné l’acquerello esprime la mobilità fuggevole che è il mistero della vita. Due vocazioni, quella di Ortese e di Violaine, identiche per germinazione ma diverse per espressività : la penna per l’Ortese e i pigmenti diluiti nell’acqua per Violaine, per compiere questo felice viaggio che è l’opera d’arte.